Molto spesso abbiamo parlato di Firenze come culla del Rinascimento, molte opere appartenenti a quel florido periodo sono conservate nella Galleria più conosciuta della città: gli Uffizi.
Ma oggi usciamo un po’ dagli schemi e parliamo di tre artisti manieristi che hanno contribuito a creare la ricchezza artistica della nostra città, ma di cui si parla sempre troppo poco.
Andrea del Sarto. Pittore trait d’union tra Manierismo e Rinascimento
A Firenze, nel secondo decennio del Cinquecento, è Andrea del Sarto a raccogliere il lascito di Leonardo, Michelangelo e Raffaello.
La sala 58 degli Uffizi conserva una tra le opere più belle di questo artista, la Madonna delle Arpie.
La Madonna delle Arpie è un capolavoro di Andrea del Sarto, realizzata nel 1517 per le monache di San Francesco de’ Macci a Firenze e le dimensioni sono piuttosto generose: si tratta di una pala d’altare alta più di due metri!
Agli inizi del 1700 Ferdinando de’ Medici rimase affascinato dalla bellezza di questa tela e si offrì di restaurare la chiesa delle monache in cambio della pala, che venne trasportata a Palazzo Pitti.
A dispetto del suo nome, nell’opera non ci sono arpie. Come è possibile?
L’errore nel titolo si deve a Giorgio Vasari, il quale riconobbe nelle figure sul piedistallo dorato due arpie. In realtà l’atmosfera del dipinto rimanda all’Apocalisse, come confermano le volute di fumo in alto, e le due figure sono il richiamo al castigo divino delle locuste.
Ai lati si ergono San Francesco e San Giovanni Evangelista.
Quest’ultimo è rappresentato da Andrea del Sarto riprendendo i canoni della monumentalità michelangiolesca, accentuata anche dai colori cangianti della veste.
Nel resto dell’opera invece, si percepiscono gli influssi di Leonardo e Raffaello.
Il pittore ne rivisita la monumentalità, la quale appare più addolcita dall’armonia compositiva.
Le pose eloquenti e ricercate mancano delle forzature anatomiche tipiche dei manieristi, rendendo Andrea del Sarto un artista da collocare in una posizione intermedia, come il pittore trait d’union, che cavalca gli ultimi strascichi del Rinascimento, imboccando la via della nuova maniera di fare arte.
Rosso Fiorentino. Manierista blasfemo?
L’equilibrio formale di Andrea del Sarto esplode con Rosso Fiorentino.
Pur avendo lavorato a stretto contatto con i maestri della scuola fiorentina, Rosso Fiorentino mostrò fin dalle opere giovanili una personalità indipendente.
La sua reazione contro l’arte tradizionale si esprime soprattutto attraverso il colore che deforma figure e spazio.
La sala 60 della galleria degli Uffizi accoglie la Pala dello Spedalingo, un’opera commissionata da Leonardo Buonafede e realizzata nel 1518 per la chiesa di Ognissanti.
L’opera, considerata alquanto sui generis, rimase talmente sconvolto dalla pala che la rifiutò fermamente!
In effetti, le sembianze che Andrea del Sarto ha conferito ai santi potrebbero far considerare il pittore un personaggio un tantino blasfemo.
La scena raffigurata è quella di una sacra conversazione, al centro la Madonna che tiene in braccio il Bambino, a sinistra San Giovanni Battista e Sant’Antonio Abate, sull’altro lato padroneggiano Santo Stefano e San Girolamo.
Pieghe spezzate, colori squillanti e occhi macchiati, quasi sbavati: ecco i punti focali di quest’opera che si rinnova anche per altri elementi.
Per prima cosa il Rosso Fiorentino elimina qualsiasi gerarchia tra la Vergine e i santi.
La donna non occupa una posizione di dominanza rispetto alle altre figure, piuttosto s’inserisce alla pari all’interno di uno spazio circoscritto.
Forse proprio anche per questa caratteristica, ne deriva che la tela sembra chiudersi su se stessa, opprimendo la composizione fino quasi a schiacciarla.
Pontormo. Capofila del Manierismo inquieto
Tra i tre, il Pontormo è sicuramente da considerarsi come il capofila del più inquieto manierismo.
La sala 61 della galleria degli Uffizi ospita uno dei capolavori di questo sregolato artista: la Cena in Emmaus.
E’ Durer il modello di Pontormo nei dipinti per la Certosa del Galluzzo: proprio in questa cittadina il pittore si rifugiò con il suo allievo Bronzino per scappare a un focolaio di peste nel 1523.
Il Vasari racconta come la pace e il silenzio del monastero piacessero molto all’artista tanto che, tornato a Firenze, Pontormo mantenne i rapporti con i frati che lo accolsero.
Jacopo Carrucci, questo il vero nome del Pontormo, rappresentò l’attimo della benedizione del pane.
L’ ambiente scuro con al centro la tavola imbandita, l’’orizzonte è particolarmente alto e crea un effetto incombente sullo spettatore.
Cinque frati assistono alla scena e nei loro volti si riconoscono i veri e propri ritratti di coloro che il pittore incrociava tutti i giorni nel monastero.
Sopra a Cristo, all’interno di un lampo luminoso, è presente il triangolo con l’occhio di Dio.
Le aureole sono rappresentate con una sola linea luminosa in prospettiva sopra il capo di Cristo.
Sul pavimento, tra il gioco di piedi, s’intravedono tre animali: un gatto a destra, un cane e un altro gatto a sinistra.
Gli animaletti sbucano dal tavolo e rimangono protetti tra le gambe dei commensali come avessero timore dei nostri sguardi.
Un elemento di effetto in quest’opera è sicuramente la luce.
Si nota subito che l’illuminazione è di tipo artificiale, debole e calda, e proviene dall’alto a sinistra.
Si identifica perfettamente con una luce mistica che illumina il tavolo e che trova il punto di maggior bagliore nell’aureola di Cristo.
Piaciuti i manieristi?
Un tour agli Uffizi è il modo migliore per conoscere da vicino questi artisti diversi e meravigliosi, magari con un tour personalizzato incentrato proprio sul manierismo!